di Andrea Lavalle
Storia minima e poetica, ha conquistato il pubblico del Sundance Festival. I registi: "Tre anni per girarla, in quel mondo tutto è segreto". Da domani in sala
Un film che è già un caso, "The truffle hunters". Storia minima e poetica, testimonianza di una tradizione quasi sconosciuta, quella dei cercatori di tartufi, ha fatto innamorare l'America conquistando il pubblico del prestigioso Sundance, il festival di cinema indipendente firmato da Robert Redford. Esce nelle sale italiane domani ed è stato presentato in anteprima nell'ambito del Torino Film Festival con i registi Michael Dweck e Gregory Kershaw.
Non avete scoperto questa storia dagli Stati Uniti?
"Eravamo in vacanza con le nostre famiglie in Monferrato e Roero quando siamo capitati in questo piccolo villaggio bellissimo, San Damiano d'Asti, e abbiamo scoperto che era una comunità di cercatori di tartufi. Una manciata di uomini di 80 e 90 anni che di notte escono con i loro cani, che sono i loro migliori amici, e camminano nel fango per ore, anche fino a 20 chilometri al freddo, in cerca del più raro e costoso ingrediente del mondo: il tartufo bianco. Prelibatezza e sogno proibito che non può essere coltivata e nasce con quelle caratteristiche solamente in quella terra. C'era qualcosa di magico e abbiamo pensato che questa è una storia che andava raccontata al mondo".
I protagonisti della vostra storia custodiscono con semplicità un segreto preziosissimo. Come li avete convinti a renderlo un documentario?
"Ci sono voluti tre anni per girare questo film. Tutto nel mondo dei cacciatori di tartufi è un segreto. Anche le loro identità e all'inizio non è stato semplice nemmeno individuare i veri cercatori".
Come siete riusciti a instaurare una relazione?
"Per mesi abbiamo mangiato insieme, bevuto caffè e vino, condiviso un pezzo delle loro vite. Quando abbiamo iniziato a diventare amici, solo allora, abbiamo iniziato a filmare. Il tempo è servito a trasmettere la magia e la gioia del loro mondo".
Anche la fotografia e le musiche sono un'inno alla bellezza.
"È stato un po' come creare un dipinto cinematografico. Quando sei nella foresta senti il suono del vento, le foglie, gli uomini che camminano nel fango, scavano con le mani. Volevamo che il pubblico riuscisse a sentire queste cose. Non potevamo usare gli odori e i sapori ma attraverso le immagini e i suoni abbiamo composto un ritratto".
Sembra dal vostro racconto una tradizione in via d'estinzione quella dei "truffle hunters".
"Noi siamo ossessionati dal trovare posti dove le tradizioni sono ancora vive e purtroppo questi posti stanno scomparendo. Tradizioni, cultura e connessioni di questo mondo resistono ma il mondo sta arrivando a minacciare questa comunità".
Nel frattempo la richiesta di tartufo è esplosa nel mondo.
"Ora lo vogliono tutti, americani, russi, cinesi. Non possono essere coltivati, quindi la competizione è sempre più feroce".
Per questo avete avviato un progetto per sostenere la comunità?
"Si chiama Truffle Hunters Land Conservation Program, e sta comprando boschi tartufigeni per evitare che vengano abbattuti, lavorando con agronomi e con la comunità locale di cercatori di tartufi".
I tartufi sono sempre più cari ma questo non si riflette sulle vite della comunità...
"Quello che motiva questa manciata di sognatori non sono i soldi ma la passione. Loro amano stare nei boschi con i loro cani a praticare questa arte antica. Quasi magica".